Yayoi Kusama (photo: Yusuke Miyazaki)

Autodefinitasi artista “ossessiva”, l’artista giapponese è nota soprattutto per l’uso del pattern a pois. Ha esplorato le più svariate correnti artistiche utilizzando come mezzo espressivo la pittura, la scultura, la performance art, per poi approdare al mondo della moda.

Nata a Matsumoto nel 1929 in una famiglia dell’alta società, Yayoi Kusama manifesta sin dall’infanzia allucinazioni visive e uditive e un disturbo ossessivo-compulsivo che influenzerà inevitabilmente le sue opere.

L’arte diventa la sua personale strategia per gestire paura e ossessione, anche se i genitori non sembrano approvare la sua passione, anzi, la ostacolano in ogni modo: la madre distrugge i suoi disegni prima ancora che siano terminati. Forse anche per questo una delle prime espressioni artistiche elaborate da Kusama sono i pois, un motivo piccolo e veloce da disegnare.

Come racconta in alcune interviste, l’ispirazione le venne osservando un campo di fiori di proprietà della famiglia: “ero accecata dai fiori, mi guardavo intorno e c’era quell’immagine persistente, mi sembrava di sprofondare come se quei fiori volessero annientarmi”.

"Flowers that speak all about my heart given to the sky" (Yayoki Kusama - 2018, London) (photo: Thierry-Bal)

È nota soprattutto per l’uso del pattern a pois. Pratica la pittura, la scultura, la “performance art” e il fashion design

Dopo aver frequentato la scuola d’arte a Kyoto, nel 1958 si trasferisce a New York. Durante la sua permanenza negli Stati Uniti entra in contatto con artisti come Warhol, Rosenquist, Oldenburg. I suoi primi lavori newyorkesi comprendono quelli che lei chiama “infinity net” (rete infinita). Si tratta di migliaia di piccoli segni ripetuti ossessivamente su tele di grandi dimensioni senza tenere conto dei bordi, come se la tela continuasse all’infinito.

Con queste opere, Kusama esplora i confini fisici e psicologici della pittura. La ripetizione apparentemente infinita dei segni crea una sensazione quasi ipnotica nello spettatore. I suoi dipinti di quel periodo anticipano il movimento minimalista, che sarebbe emerso di lì a poco.

Lei intanto è già passata a nuove ispirazioni, più vicine alla pop art e alla performance art. Di quegli anni si legge nella sua autobiografia: «Qualche volta, quando mi sentivo triste, salivo sull’Empire State Building. New York era la roccaforte del capitalismo e portava ancora i segni dell’Età dell’oro americana, della prosperità precedente la guerra in Vietnam: un sontuoso, sconfinato panorama dove, tra il luccichio di pietre preziose, si svolgeva il grande dramma della vita umana, vorticosa confusione di lode e infamia. In cima al più alto grattacielo esistente all’epoca sentivo di essere sulla soglia di ogni ambizione terrena, che ogni cosa era possibile».

Una statua in cera di Yayoi Kusama (2017, Helsinki)

I motivi ripetuti ossessivamente continuano a essere un tema ricorrente della scultura e dell’arte installativa di Kusama, che inizia a esporre nei primi anni Sessanta. Tra le installazioni più famose c’è “Infinity Mirror Room-Phalli’s Field” (1965), una stanza a specchi il cui pavimento era ricoperto da centinaia di falli impagliati e dipinti con punti rossi.

Gli specchi permettevano di creare piani infiniti e torneranno anche nelle opere successive. La performance artistica di Kusama esplorava i temi cardine degli anni Settanta: il sentimento anti bellico, la lotta all’establishment e l’amore libero.

Una foto scattata all'interno dell'opera "Infinity Mirror Room-Phalli's Field", in Ontario (Yayoi Kusama - 2018)

Nel 1973 Kusama fa ritorno in Giappone. A partire dal 1977, per sua scelta, ha vissuto in un ospedale psichiatrico, continuando a produrre arte e a scrivere poesie e narrativa surreale, come The Hustlers Grotto of Christopher Street (1984) e Between Heaven and Earth (1988).

Alla fine degli anni Ottanta, torna a organizzare mostre internazionali. Nel 1993 rappresenta il Giappone alla Biennale di Venezia con opere tra cui Mirror Room (Pumpkin), un’installazione in cui riempie una stanza specchiata con sculture a forma di zucca ricoperte dai suoi caratteristici pois. Tra il 1998 e il 1999 una grande retrospettiva delle sue opere è stata esposta al Los Angeles County Museum of Art, al Museum of Modern Art di New York, al Walker Art Center di Minneapolis, Minnesota, e al Museo d’Arte Contemporanea di Tokyo.

La zucca, riprodotta in diversi formati, su tela o sotto forma di scultura, è un altro dei suoi motivi ricorrenti. Kusama dichiara di aver cominciato a dipingerla, affascinata dalla sua forma tonda e buffa. Forse la più nota installazione che ha per protagonista questo ortaggio si trova sull’isola Naoshima, appoggiata su un pontile rivolto verso il mare.

(Yayoi Kusama - 2016, Copenaghen)

La zucca, riprodotta su tela o sotto forma di scultura, è uno dei suoi motivi ricorrenti. Così come i tentacoli e i fiori.

A un certo punto della sua longeva carriera anche la moda si accorge di lei estendendo la sua fama ben oltre i confini delle arti visive. Nel 2012, l’incontro con lo stilista Marc Jacobs dà vita al fortunato sodalizio con Louis Vuitton.

A dieci anni dalla prima collaborazione, l’ultima partnership col brand è stata accompagnata da una serie di allestimenti immersivi ispirati alle opere di Kusama che hanno coinvolto gli store di Tokyo, New York (dove un robot con le sembianze dell’artista dipinge la vetrina del negozio con una serie di pois), Parigi (il negozio al civico 101 del viale degli Champs-Élysées accoglie una gigantesca scultura di Yayoi Kusama che abbraccia l’edificio del flagship store di Parigi).

A Milano il brand ha celebrato l’artista con la riapertura di Garage Traversi, a piazza San Babila, in uno spazio totalmente rinnovato che per l’occasione riflette in tutto e per tutto lo stile di Kusama. Sembra che la preghiera espressa da bambina di “lasciare in giro impronte di bellezza” (così si chiude la sua autobiografia) si sia, infine, realizzata.