Ella Marciello
Creative Director - The Ribelli

Un font contro l’odio

Contro la violenza serve carattere

Per molti bambini e adolescenti, l’allontanamento sociale durante la pandemia ha significato una ridistribuzione dei pesi nel contatto con i propri pari. La conseguenza di questo allontanamento forzato si è riversata sull’aumento dell’utilizzo dei social media e degli ambienti digitali.  

TikTok, FaceTime e Zoom quindi sono molto più frequentemente utilizzati da ragazzi e teenager rispetto a solo un anno fa. E sebbene ci siano aspetti positivi che possono derivare da queste interazioni online, come ad esempio l’opportunità di importanti connessioni con il mondo esterno, non sono prive di rischi.

Secondo L1ght, un’organizzazione che monitora le molestie online e l’incitamento all’odio, c’è stato un aumento del 70% del cyberbullismo nel giro di pochi mesi. Secondo l’American Adolescent Psychiatric Association, “lo stress e le condizioni di salute mentale possono essere esacerbate dal cyberbullismo, in particolare tra coloro che hanno subito abusi emotivi“.

L’allontanamento sociale durante la pandemia ha prodotto un aumento nell’utilizzo dei social media

Secondo le Nazioni Unite un terzo dei bambini più piccoli afferma di essere stato vittima di bullismo online. Più del 35% delle vittime di cyberbullismo soffre di ansia, un quinto afferma di perdere il sonno a causa di tali preoccupazioni e uno su cinque ha affermato di aver saltato la scuola proprio a causa degli abusi subiti. Che fare, quindi, quando la scuola non è più un luogo prettamente fisico ma diventa un territorio più ampio, quando il confine tra dentro e fuori non esiste più?

Secondo le Nazioni Unite un terzo dei bambini più piccoli afferma di essere stato vittima di bullismo online

Qualcuno ha provato a trovare delle risposte per arginare il fenomeno. Una società tecnologica finlandese (tietoEvry) ha rilasciato uno strumento insolito, che potrebbe essere uno dei passi da intraprendere per rendere gli ambienti digitali più sani e vivibili per tutti: un carattere tipografico.

Un team composto da specialisti che si occupano di bullismo, razzismo e altre forme di intolleranza ha ideato un carattere – The Polite Type – che blurra le parole oscene o le espressioni d’odio sostituendole con altre più misurate o gentili. Il carattere è open source (è scaricabile gratuitamente qui) e funziona con i più diffusi editor di testo.

Ad esempio, se un utente tenta di digitare “Ti odio”, la frase cambierà automaticamente in “Non sono d’accordo con te”.
I termini con connotazioni razziali dispregiative vengono cambiati nel nome proprio della razza o della religione. Le oscenità esplicite sono offuscate e i termini meno offensivi vengono modificati. “Sei stupido” diventa un più morbido “Sei sciocco”.

The Polite Type nasce per promuovere uguaglianza e inclusione. Il tentativo è perciò a livello di pensiero, prima che di azione. Sì, è vero, le parole offensive vengono rese illeggibili ma l’obiettivo è più alto: riuscire a far ripensare alle parole mentre esse vengono usate e a come il loro significato moduli e modifichi emozioni ed azioni.

The Polite Type nasce per promuovere uguaglianza e inclusione

Il vocabolario di 1800 parole inglesi utilizzato in The Polite Type è stato compilato da tietoEVRY insieme ad adolescenti finlandesi e organizzazioni come la Children and Youth Foundation che promuovono la diversità, l’inclusione e l’antirazzismo.

Certo, la questione laterale che si innesta in uno scenario di questo tipo sta nelle fondamenta della democrazia stessa. Se non posso esprimere dissenso, la mia libertà all’interno della democrazia è una libertà reale? In generale, questa è una delle questioni che spuntano fuori ciclicamente quando si parla di intolleranza e odio in rete. La risposta, sempre, è: dipende. 

Dipende da quanto valore portiamo al dibattito con il nostro dissenso, dipende da come quel dissenso è argomentato, dipende da quanto fuori da certi bias cognitivi riusciamo a circoscrivere le nostre argomentazioni. E no, non dipende mai dalla libertà supposta o che ci arroghiamo consapevolmente nell’insultare le altre persone, nel deriderle, nel vessarle.

Far ripensare alle parole mentre vengono usate, a come il loro significato moduli e modifichi emozioni ed azioni

So che un certo marketing dell’ultima ondata prevede situazioni di questo tipo. Io stessa ne sono stata vittima diverse volte: shitstorm sui miei canali social, messaggi privati pieni di minacce, screenshot di conversazioni private esibite alla mercé di tutti, dell’internet intero. La mia riflessione, in questo senso, non può che essere una: le parole hanno un peso – greve – nel momento in cui le pensiamo. 

Il peso di queste parole contiene in nuce tutto ciò da cui dobbiamo allontanarci come professionisti e come essere umani. Riconsiderare le nostre azioni e le conseguenze che avranno deve necessariamente partire da un atto di consapevolezza, che nessun tool online può fare per noi.

Se la tecnologia ci arriva in soccorso mettendo a disposizione i suoi strumenti è un gran bene. Possiamo accoglierli ed utilizzarli, ne possiamo estendere l’uso agli adolescenti e ai bambini per proteggerli e insegnar loro che un altro tipo di comunicazione, di comportamento, è davvero possibile. Senza dimenticare che si impara con l’esempio, prima di tutto.

E che i comportamenti virtuosi non passano per osmosi o magia, nemmeno quella tecnologica: serve guardarli da vicino ogni giorno, sentirli, farli propri, affinché si possano diffondere nel mondo. Così che anche il mondo digitale possa divenire un luogo più sicuro e inclusivo. Per tutti.