© Stéphan Gladieu - Homo Détritus

Stéphan Gladieu lavora come fotografo dal 1989 e da allora non ha mai smesso di occuparsi di guerra e questioni sociali nel mondo. Utilizza la fotografia come mezzo per illustrare la condizione umana. Questa volta ha reso protagonisti di un suo reportage i rifiuti di Kinshasa e gli artisti congolesi che li trasformano in composizioni sorprendenti.

In base alla Convenzione di Basilea, entrata in vigore nel 1992, i paesi non possono esportare i propri rifiuti tossici senza il consenso dei destinatari. Per questo i paesi che esportano rifiuti, quasi sempre, lo fanno con il pretesto di una donazione “benefica”: gli oggetti inviati sono considerati beni di seconda mano e quindi autorizzati ad essere trasportati e depositati. In realtà si tratta spesso di semplice spazzatura. 

Sebbene farlo sia illegale, alcune delle nazioni più ricche esportano ancora tonnellate di materiale nei paesi con meno risorse, in comunità che tra l’altro non hanno gli strumenti per trattarli o riciclarli. Tra questi c’è la Repubblica Democratica del Congo: il secondo paese più grande dell’Africa, con uno dei sottosuoli più ricchi del mondo grazie alla presenza di pietre preziose come oro, coltan, diamanti e cobalto. Eppure tutt’oggi l’ottavo paese più povero del pianeta.

A Kinshasa, la capitale, le grondaie sono piene di bottiglie di plastica. I mercati urbani sono stracolmi di beni di seconda e terza mano. Ci sono discariche ovunque, in molti quartieri non esistono bidoni della spazzatura o sistemi di raccolta. La città è completamente inondata da tonnellate di rifiuti non trattati: cellulari, plastica, tappi di sughero, gommapiuma, camere d’aria, tessuti, cavi elettrici, siringhe, scatole, parti di automobili, lattine.

La città è inondata da tonnellate di rifiuti: cellulari, plastica, tappi di sughero, gommapiuma, scatole e lattine

In risposta a questo disastro ecologico, i giovani di Kinshasa hanno lanciato un movimento artistico popolare. Si sono messi ad utilizzare i rifiuti per produrre sculture particolarmente originali. Hanno iniziato a creare arte con ciò che trovano ampiamente disponibile nell’ambiente circostante: pneumatici, tubi di scarico, schiuma, bottiglie, antenne.

Nel 2015 è nato così il collettivo “Ndaku Ya La Vie Est Belle”, composto da 25 artisti riuniti per denunciare la crisi ecologica del paese. Nel 2020 hanno collaborato con Stéphan Gladieu alla realizzazione del progetto “Homo Détritus”, una rassegna fotografica realizzata nelle strade di Kinshasa. Negli scatti le sculture e lo sfondo urbano si fondono in un’unica composizione elegante, ironica e particolarmente pop.

© Stéphan Gladieu - Homo Détritus
© Stéphan Gladieu - Homo Détritus

Il collettivo “Ndaku Ya La Vie Est Belle” è composto da 25 artisti che denunciano la crisi ecologica del loro paese

Le foto si nutrono della realtà del mondo” ha dichiarato Gladieu durante la presentazione di un libro dedicato al progetto. “Gli scatti parlano di ecologia attraverso queste sculture urbane. Un tempo i nostri antenati creavano maschere con materiali come paglia, legno e foglie. Oggi ridiamo vita a questa tradizione, ma usando la spazzatura, più facile da reperire”.

Le sculture che appaiono nelle foto sono frutto di un lavoro che ha richiesto fino a 6 giorni per le composizioni più semplici e fino 4 settimane per quelle più complesse. Ogni materiale utilizzato ha un significato preciso: le piume che addobbano le installazioni, provenienti dalle discariche di Kinshasa, evocano il legame tra gli artisti e i loro antenati; gli anelli di plastica rappresentano i virus trasmessi alla popolazione dalla sporcizia delle strade; le componenti delle radio alludono alla disinformazione e alla corruzione dei media.

© Stéphan Gladieu - Homo Détritus
© Stéphan Gladieu - Homo Détritus

Le sculture e lo sfondo urbano si fondono in una grande composizione pop

L’installazione “Butt Man” prova a ricordare che, sebbene i mozziconi siano molto piccoli, sono comunque molto inquinanti. “Car Man” è una protesta contro le migliaia di auto importate in Africa ogni anno. “Phony Man” evoca la siccità, la sete e la difficile reperibilità d’acqua, ancora inaccessibile al 70% della popolazione congolese. Poi c’è “Electric Woman”, fatta di cavi per denunciare l’inefficienza del servizio elettrico nelle città e “Bag Man”, monumento ai sacchetti di plastica che hanno inghiottito terra, animali e fonti d’acqua.

"Butt Man" - © Stéphan Gladieu
"Phony Man" - © Stéphan Gladieu

Stephàn Gladieu cercava da tempo un modo per fotografare figure antropomorfe. Più esattamente da quando aveva visto il personaggio dell’uomo di latta del film “System K”, di Renaud Barret. Così ha scelto di lavorare con “Ndaku Ya La Vie Est Belle”, anche per la similitudine di intenti e valori tra i suoi progetti e quelli degli artisti coinvolti. Nelle statue urbane vede un’idea brillante per dare risonanza ad una lotta che sostiene e lo appassiona: quella contro il consumo eccessivo e in difesa dell’ambiente.

Dalle montagne di spazzatura che seppelliscono Kinshasa è nato un movimento artistico di protesta. Uno strumento di lotta contro il consumismo e le sue conseguenze sulle città del Congo” ha dichiarato Gladieu.