Pubblicità storiche, strane e bellissime in India
Le agenzie di comunicazione hanno svolto un ruolo importante nella definizione del volto del Paese
Se pensiamo alle pubblicità d’epoca la prima cosa che ci viene in mente è probabilmente un grande ufficio nel cuore di Manhattan e un via vai di copywriter, art director e manager in giacca e cravatta, in puro stile Mad Men. Eppure la storia della pubblicità non l’hanno fatta solo le grandi agenzie di Madison Avenue.
Spostando lo sguardo a Oriente, uno dei contributi più interessanti l’ha dato l’India. Appena dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’impero britannico, nel 1948, il Paese era animato da un forte desiderio di affermarsi a livello internazionale. A ridisegnare il volto della neonata India furono in buona parte le agenzie di comunicazione che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, raggiunsero picchi notevoli di creatività.
Grazie ai progressi in ambito tecnologico (l’introduzione della stampa offset multicolore, l’uso di ricerche di mercato per profilare meglio i target), le agenzie cominciarono a sfornare campagne colorate, con slogan potenti. Per molti quella stagione è nota come l’epoca della “rivoluzione creativa” della pubblicità indiana. Le agenzie inizarono ad ispirarsi maggiormente alla cultura locale, rimarcando la differenza dallo stile “british” di pochi anni prima. Il cambiamento culturale coinvolse anche i marchi, che avevano finalmente la libertà di rappresentare i propri prodotti con richiami espliciti alla tradizione indiana.
Negli anni ‘50 le pubblicità cominciarono a ispirarsi maggiormente alla cultura locale, allontanandosi dallo stile “british”
In quel periodo le principali stazioni radiofoniche del Paese, Radio Ceylon e Radio Goa cominciarono a trasmettere spot pubblicitari. Furono in particolare gli anni Sessanta a suggellare la potenza della pubblicità indiana, con slogan entrati nella storia del paese come “Fatti l’uno per l’altro” delle sigarette Wills Filter Tipped. Alcune delle più grandi superstar della pubblicità nazionale si affermarono nei decenni a metà del secolo: Nargis Wadia, Kersey Katrak, Nari Hira e Frank Simoes, che furono tra i primi indiani a fondare un’agenzia pubblicitaria.
Nello stesso periodo si impose anche l’iconica figura del maharaja, storica mascotte della compagnia aerea Air India. Come racconta Eye on Design, il personaggio nacque nel 1946 da un’idea di Bobby Kooka, direttore commerciale della compagnia aerea e Umesh Rao, creativo della J.Walter Thompson Ltd. di Mumbai.
Recentemente l’associazione Poster House, in collaborazione con Kapoor Galleries, ha realizzato una mostra dal titolo “Air-India’s Maharaja: Advertising Gone Rouge” (Il Maharaja dell’Air-India: la pubblicità in rosso) per celebrare un catalogo pubblicato da Air-India che raccoglie manifesti di viaggio prodotti dalla compagnia aerea tra il 1946 e il 1972.
Secondo Angelina Lippert, direttrice e curatrice di Poster House, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta furono realizzati alcuni dei manifesti pubblicitari più iconici della storia dell’aviazione indiana. Con l’avvio dei primi voli internazionali, la compagnia di bandiera nazionale si trovò a competere con sigle come PanAm e Air France, che dominavano le tratte India-UK e avevano a disposizione budget pubblicitari molto più consistenti.
Nel tentativo di distinguersi visivamente dalla concorrenza, Air-India scelse di adottare l’emblema del maharaja, raccontando il “nuovo volto” dell’India indipendente.
Si trattava di un character specificatamente indiano, le cui fattezze richiamavano l’idea del lusso e dell’ospitalità. All’epoca l’umorismo tagliente e sfacciato delle campagne di Air-India era considerato una novità dal pubblico. Oggi probabilmente alcuni poster ci farebbero ancora sorridere, ma altri sono apertamente razzisti.
Oggi alcuni poster con il “maharaja” ci farebbero probabilmente sorridere, ma altri sono apertamente razzisti
Nello stesso periodo vennero presentaste altre grandi campagne pubblicitarie, con riflessi sociali che raccontano le diverse fasi della storia del paese. Il brand di detergenti Lifebuoy, ad esempio, era stato introdotto dagli inglesi in India a partire dal 1895. Inizialmente il payoff della marca era “Royal Disinfectant Soap”. Gli annunci miravano ad associare un’identità regale e britannica ai prodotti, un tratto percepito dal pubblico indiano come superiore, sofisticato, da emulare.
Molto diversa fu invece la storia del brand di saponi Godrej Vatni, qualche anno dopo. La marca divenne simbolo del movimento “Swadeshi”, che sosteneva l’indipendenza dell’India dall’impero inglese. Una delle più note testimonial del marchio fu l’attrice Madhubala, pseudonimo di Mumtaz Jehan Begum Dehlavi, tra le grandi attrici indiane del secolo.
In una serie di inserzioni degli anni ‘50 l’attrice compariva in outfit tradizionali indiani: la fitta treccia di capelli, orecchini pendenti a cerchio, il sari elegante e il bindi al centro della fronte. Nelle pubblicità le fotografie erano accompagnate da titoli come: “È superiore, è swadeshi” oppure “Il sapone nazionale di ineguagliabile valore”.
Le pubblicità di Godrej Vatni divennero simboli del movimento “Swadeshi”, che sosteneva l’indipendenza dell’India
Il brand di cosmetici divenne simbolo del “Made in India”, il primo di molti marchi che iniziarono a far riferimento espressamente all’identità indiana. I saponi erano venduti in confezioni bianche e verdi con il claim: “Made in India, for Indians, by Indians”. Gli esperti di marketing puntavano a cittadini e cittadine che aspiravano a sentirsi liberi, in un paese dinamico e moderno.
Come ha spiegato Santosh Sood, ex direttore operativo dell’agenzia pubblicitaria Rediffusion Y&R: “La pubblicità faceva leva sui valori comuni per promuovere un sentimento di unità nazionale. I consumatori erano più inclini a farsi influenzare dalla pubblicità, rispetto ad oggi. Così le campagne li inducevano a sentirsi parte di una comunità indipendente, orgogliosa, finalmente libera”.