L'artista russo-tagika Manizha (Instagram)

Secondo Human Rights Watch, le cose in Tagikistan vanno sempre peggio. L’associazione considera il governo in carica una dittatura. Il diritto di espressione è negato o riservato a poche minoranze. Nel frattempo, contro uno dei leader più autoritari al mondo, le nuove generazioni iniziano a parlare di ingiustizie e identità. E lo fanno sui social. 

Il Presidente Emomalī Rahmon è stato rieletto con il 90% dei voti alle ultime elezioni, contro un’opposizione praticamente inesistente. Resterà in carica fino al 2027, superando i trent’anni alla guida del Paese. Il suo governo reprime la libertà di espressione e di associazione, bloccando l’accesso ai siti di informazione ed a social network come YouTube e Facebook.

Spesso vengono sospesi i servizi di telefonia e di messaggistica, quando circolano dichiarazioni critiche sul presidente o sul governo. Decine di giornalisti sono stati costretti a lasciare il Paese.

Il governo reprime la libertà di espressione bloccando l’accesso a siti d’informazione e social come YouTube e Facebook

Al contesto repressivo generale, si aggiunge una cultura profondamente patriarcale e sessista. Nel Paese ci sono circa 4 milioni e mezzo di donne, di cui solo il 64% con istruzione di secondo grado. La maggior parte abbandona gli studi perché costretta a sposarsi, quasi sempre con uomini scelti dalla famiglia.

Le donne che riescono ad ottenere un lavoro devono fare i conti con un salario medio che corrisponde al 63% di quello dei maschi. Inoltre il governo ha imposto norme sociali rigorose, anche in materia di genere e sessualità, presentandole come necessarie al mantenimento della pace.

È una narrazione sfidata però dalle nuove generazioni, più istruite e con maggiori contatti con l’estero, come riporta il sito The Calvert Journal. I giovani costruiscono spazi e movimenti di protesta, in particolare su Instagram. 

La scelta è in parte legata alle preferenze degli attivisti – appartenenti per lo più alla Gen Z – ma anche a motivi pratici: le connessioni nel Paese sono molto costose, ma i fornitori di servizi telefonici spesso includono la navigazione gratuita per alcune piattaforme, tra cui Instagram.

 
 
 
 
 
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I più giovani costruiscono spazi e movimenti di protesta in particolare su Instagram

I temi affrontati sui profili sono diversi: ci sono le IGTV di Farangis Davronova che parlano di molestie, violenza domestica e victim blaming. C’è Elena Nazhmetdinova che usa il suo feed come un blog di divulgazione su identità di genere, abusi psicologici e mascolinità tossica.

Il giornalista Timur Timerkhanov ha raccontato sul suo account la storia del suicidio di un’amica, costretta a sposare uno sconosciuto dalla sua famiglia. Amiran Karatsev aveva scritto il suo primo post nel 2017, lodando la condanna di un uomo che aveva molestato una donna in strada. Il post era diventato rapidamente virale. Oggi Karatsev è uno degli attivisti con il maggior seguito su Instagram.

 
 
 
 
 
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Gli account hanno in comune la voglia di affrontare tabù sociali, una certa cura nell’estetica e grande precisione nel presentare fatti e storie.

Le community potrebbero sembrare molto piccole (il numero di follower è nell’ordine di qualche migliaio, tra i 1000 e i 3000), ma in un Paese di 9 milioni di abitanti, di cui solo il 5% attivo sui social, si tratta di numeri significativi. Soprattutto considerando l’alto tasso di engagement e partecipazione dei follower.

 
 
 
 
 
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Oggi la piccola fetta di società che interagisce con gli attivisti è in gran parte figlia di un’élite culturale, quella della classe media, urbana e russa, quindi non rappresentativa di un Paese a maggioranza tagika e rurale.

Nonostante questo l’estendersi della conversazione su Instagram, che coinvolge ogni giorno sempre più ragazzə, lascia pensare che le idee in Tagikistan potrebbero lentamente iniziare a cambiare.