Caterina Pucci
Freelance Journalist

L’Amica Geniale per chi l’ha vista e per chi non c’era

Quella che segue non è una recensione, non è un’analisi, sa soltanto cosa non è

Nella mente di chi l’ha commissionato prima e di chi l’ha scritto poi, questo pezzo esiste all’incirca da metà febbraio. Sono successe cose nel frattempo, non mi sembra il caso di parlarne in questa sede, ma è essenziale dirvi come il mio iniziale entusiasmo (evviva, parlerò di qualcosa che mi piace tantissimo) ha fatto progressivamente spazio al terrore di sembrare fuori luogo, la scema del villaggio che ancora sta qui a scrivere dell’Amica Geniale mentre fuori il mondo va a rotoli.

Poi ho preso fiato e ho capito che sono come il cagnolino della vignetta “this is fine” (quello che beve una tazza di caffè mentre la casa intorno a lui brucia) e ho ancora voglia di parlare di cose che leggo e che guardo. 

Mi tolgo questo peso dal cuore, parlerò dell’Amica Geniale e lo farò malissimo perché quella che segue non è una recensione, non è un’analisi, sa soltanto cosa non è.

Ho guardato la terza stagione dell’Amica Geniale (Storia di chi fugge e di chi resta, andata in onda dal 6 al 27 febbraio) e, senza che facessi in tempo ad accorgermene, sono ripiombata in quel vortice di ossessione, quella psicosi collettiva, che un po’ tuttə quellə che hanno letto e amato la tetralogia e, di conseguenza, guardato la serie tv conoscono.

(Daily Beast)

È quella malattia nota al mondo come Ferrante Fever. Si contrae più o meno così: qualcuno ti consiglia i libri, anzi ti dice che DEVI leggerli, magari te ne regalano uno. Tempo due giorni l’hai finito e corri a recuperare i successivi. Da lì è tutta in discesa: recuperi l’opera omnia di Ferrante, ascolti gli audiolibri, guardi i film tratti dai romanzi, cominci a fare un cieco proselitismo tra parenti e amici. Segretamente ti odiano, ma ti daranno ragione. 

Io non mi spiego come sia possibile che io sia diventata la cosa che odio di più al mondo, cioè una fan di qualcosa, perché prima dell’Amica Geniale non mi era mai successo con nient’altro e credo non ricapiterà. È come il colpo di fulmine.

È una malattia nota come Ferrante Fever. Si contrae più o meno così: qualcuno ti consiglia i libri, anzi ti dice che DEVI leggerli, magari te ne regala uno. Da lì è tutta discesa

Comunque, se cercate la storia seria e ragionata del fenomeno, ve la spiega bene l’omonimo documentario del 2017, diretto da Giacomo Durzi e al momento disponibile su RaiPlay. 

Per riassumere alcuni punti salienti: a decretare il successo della tetralogia negli Stati Uniti concorsero vari fattori, in primis la recensione entusiasta del primo volume, scritta da James Wood sul New Yorker. 

Fu poi la McNally Jackson, libreria indipendente di Manhattan, a coniare la famosa espressione. Per promuovere un reading in compagnia di Michael Reynolds e Ann Goldstein, rispettivamente editore e traduttrice della saga in lingua inglese, fu creata una speciale vetrina, su cui lampeggiava una grossa insegna al neon fucsia, con la scritta Ferrante Night Fever. 

L’insegna della McNally Jackson, libreria di Manhattan

Nel corso degli anni al fenomeno mediatico si sono affiancati eminenti contributi critici, come ad esempio il recente saggio di Isabella Pinto, che indaga l’opera di Ferrante da una prospettiva filosofica e sociologica. Queste analisi hanno contribuito a demolire l’idea che l’opera di Ferrante sia “letteratura per femmine”, dando spessore anche al modo in cui ne discutiamo sui social.

Io non mi spiego come sia possibile che io sia diventata la cosa che odio di più al mondo, cioè una fan di qualcosa

Prendiamo ad esempio uno specifico momento della terza stagione, apparso nell’episodio “Terrore”. Sono gli anni Settanta e una delle due protagoniste (Lenù) partecipa a una manifestazione femminista. Una volta tornata a casa, litiga col marito che la critica per la sua dedizione alla causa e, dando un’occhiata alle sue letture, l’accusa di occuparsi di argomenti futili. 

In quel preciso istante viene inquadrato un dettaglio sulla scrivania: è il saggio Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi, un libro fondamentale nella storia del movimento femminista italiano. Non faccio in tempo ad aprire i social, che la bacheca Twitter e la timeline di Instagram sono già state inondate di screenshot dell’iconica copertina verde. Carla Lonzi in trend topic, stento a crederci.

E lo so che non tutto il pubblico dell’Amica Geniale mastica i temi dell’autocoscienza e dell’emancipazione e non ci avrà fatto caso, ma se anche solo una persona dopo la visione si fosse presa la briga di andarsela a cercare e capire perché questo libro è importante? Non sarebbe un risultato notevole, cento volte più forte di centinaia di conferenze sul tema?

Non è una novità che i romanzi di Ferrante esplorino temi cari al femminismo il ruolo ambiguo della maternità, la violenza domestica, l’affermazione della propria identità in un mondo governato da uomini. La genialità sta forse nel fatto che, come ha scritto Martina Neglia su L’indiependente, “la consapevolezza e la coscienza femminista di Elena Ferrante non si produce in attivismo o prese di posizione partitiche, quanto più in deliverate scelte ferme di un femminismo che affonda le sue basi e si alimenta nella sorellanza”.

Forse è solo la mia bolla, mi dico, a sentire questo bisogno fortissimo di sviscerare certi temi e pretendere che se ne parli sempre più e sempre meglio. Forse non sposta nulla, ma quanto è bello vedere le battute di Lila e Lenù vivere di vita propria anche fuori dal romanzo e dalla sua trasposizione televisiva, farsi meme e anche manifesto, come è accaduto anche in occasione della Giornata Internazionale della Donna, tipo qui o qui. 

Ecco, questo è il momento in cui serve che vi rassicuri, dicendo di non aver paura, che non per forza si tratta di discussioni pesanti, c’è anche tanta leggerezza e ironia in tutto questo.

Se la fandom internazionale si è inventata il tumblr Fuck Nino Sarratore, quella italiana ha prontamente risposto con il celeberrimo #NinoSarratoreMerda. Un hashtag dall’eco tale che lo stesso Francesco Serpico, l’attore che interpreta il personaggio di Nino nella saga, ha imparato a stare al gioco.