Negli anni ‘80 in Brasile arrivavano i pixel e i suoni sintetici, sempre più presenti anche fra le mura di casa. La battaglia per la tecnologia 8-bit era appena iniziata, fioriva la cultura dei videogiochi e delle console. Erano amati soprattutto i titoli esteri, che sembrano arrivare da ancora più lontano: dal futuro.

In quel periodo le console e gli schermi dei televisori in tutto il mondo si basavano su due frequenze di riproduzione diverse. Gli standard differivano in base all’area geografica: i televisori statunitensi e giapponesi sfruttavano il sistema NTSC, da 30 immagini al secondo, mentre in Brasile (ed Europa) si basavano su sistema PAL, da 25 immagini al secondo. Due mondi tecnologici lontani e incompatibili.

Così mentre in Giappone veniva lanciata la Nintendo Entertainment System (in breve NES) con tecnologia 8-bit, a Rio de Janeiro cresceva il fenomeno dei “famiclone”: dispositivi clonati illegalmente a partire dalle console originali, rivenduti con un nome diverso ma con la stessa scheda madre e un design poco dissimile. 

I famiclone si diffusero in tutte le aree commerciali non coperte da accordi ufficiali di distribuzione. Eppure il caso del Brasile fu il più infuocato. Una delle motivazioni erano gli alti costi di importazione che il governo brasiliano imponeva sui dispositivi elettronici, fino al 70%.

Copertina del videogioco brasiliano degli anni ‘90 "Caça ao Pato"

A Rio De Janeiro cresceva il fenomeno dei “famiclone”: dispositivi clonati illegalmente  a partire dalle console originali

Le console più vendute in Brasile erano sempre state quelle Atari. Quando arrivò NES, i brasiliani scoprirono che la nuova console era incompatibile con gli schermi di casa. Nintendo, inoltre, non aveva intenzione di adattare il dispositivo al contesto brasiliano. Probabilmente era rimasta scottata dai tentativi precedenti, in India e Corea del Sud, rivelatisi dei fallimenti.

Secondo i manager giapponesi, il Brasile avrebbe dovuto piegarsi al sistema originale: evidentemente non avevano considerato il talento locale nella pirateria tecnologica.

Copertina del videogioco brasiliano degli anni ’90 "Super Irmãos”, versione locale di Super Mario

Evidentemente non avevano considerato il talento brasiliano nella pirateria

I tecnici brasiliani di Gradiente, azienda specializzata in elettronica, erano entrati in possesso di alcuni esemplari di NES e iniziarono a studiare come riprodurne la tecnologia. Tramite un processo di ingegneria inversa, smontarono anche il più minuscolo componente per poi analizzarlo, riprodurlo e riassemblarlo in una console compatibile con gli schermi nazionali. 

Ad un certo punto Moris Arditti, vice presidente di Gradiente, decise addirittura di prendere un volo per Tokyo per mostrare il prototipo ai manager in Giappone e chiedere il permesso di distribuirlo. Nintendo rispose con un secco “no”. A quel punto non restava che la guerra.

Smontarono anche il più minuscolo componente, per riassemblarlo in una console adatta agli schermi brasiliani

Gradiente lanciò sul mercato una sorta di frankenstein-tecnologico, una console nata da vari dispositivi: la scocca di Atari 7800, i controller del Sega Mega Drive e la scheda madre Nintendo. Nacque così Phantom System, lanciata ufficialmente nel 1991.

Era un piccolo capolavoro di cloning e giurisprudenza: nulla in questa operazione andava a infrangere alcuna legge o brevetto. Si erano mossi in piena legalità, portandosi a casa un grande risultato con un’abile strategia. A parità di prezzo, il famiclone risultava qualitativamente migliore di qualsiasi altro videogioco importato dall’estero.

Quanto ai giochi, Gradiente acquistò le licenze dei titoli Atari e li convertì per il sistema brasiliano. Anche le confezioni erano cloni: i giochi erano ospitati in repliche dei packaging originali Nintendo.

Il “famiclone" brasiliano Phantom System

Era una sorta di frankenstein-tecnologico, con la scocca di Atari, i joypad di Sega e la scheda Nintendo

Tutto sembrava mettersi al meglio per Gradiente, quando arrivò il colpo di scena che rovesciò i piani aziendali. Sul mercato era arrivato un nuovo competitor: la nascente Sega, con il suo Master System. Fu un’avanzata trionfale: in un paio di anni diventò la console leader in Brasile. 

All’inizio del decennio Tectoy, distributore ufficiale di Sega, convinse la rivale Nintendo ad entrare nel mercato brasiliano, con un’operazione apparentemente suicida. In breve riuscì ad indebolire Gradiente, spingendola ad una lunga battaglia legale e trasformandola, di fatto, in semplice distributore dell’azienda giapponese.

La console “Sega Mega Drive" distribuita in Brasile da TecToy

I brasiliani però non mollano facilmente. Con un colpo di coda, Gradiente mise in piedi la Falcon Soft: un brand dedicato alla produzione di titoli-pirata, con la quale l’azienda negava ufficialmente ogni legame. La nuova società distribuiva i giochi migliori Nintendo, ma “virati” in chiave locale: c’era Super Irmãos, gemello pirata di Super Mario, e Caça o Pato, corrispettivo del fortunato videogame Duck Hunt. 

L’attività di Falcon Soft andò avanti per tutti gli anni ‘90, in un paradosso in cui il distributore ufficiale di Nintendo in Brasile vendeva sotto falso nome copie contraffatte della stessa azienda.

(© Canàl)

Nel 2003 Nintendo lasciò il mercato brasiliano, stremata dalla concorrenza pirata e dal costante calo di vendite, frutto di un sistema che sembrava impossibile da contrastare.

Dopo decenni complicati, tra tregue e altri contenziosi con le aziende del posto, nel 2015 l’azienda giapponese ha annunciato un nuovo ritiro dal paese, motivato soprattutto da un aumento dei dazi doganali. Nel frattempo sono passati oltre 30 anni, in una lunga guerra di pixel e copyright. Che probabilmente non è ancora finita.

Questo articolo è frutto di sintesi e rielaborazione di notizie provenienti da diverse fonti, tra cui RedBull, Atlas Obscura, KillScreen