© Giovanni Da Re x Canàl

L’agave è la pianta da cui si estrae l’ingrediente principale per la produzione della tequila, la sua anima. È un arbusto grasso e succulento, simile a un grande cactus con lunghi aculei.

Agave Azul” è l’operazione che ha bloccato i conti bancari di molti produttori di tequila in Messico, accusati di collaborare con i cartelli del narcotraffico per il trasporto della merce e il riciclaggio degli incassi.

L’industria della tequila offre una serie di caratteristiche uniche, che la rendono un partner ideale per i cartelli del Messico. È un settore estremamente redditizio, dal valore complessivo di 4,6 miliardi di dollari, e in continua crescita. C’è molto spazio per spremere soldi e riciclare denaro. L’80% della tequila finisce inoltre negli Stati Uniti, la destinazione privilegiata dei trafficanti messicani. L’agave, inoltre, viene coltivata nelle aree più pericolose del Messico, rendendo i produttori obiettivi ideali per estorsioni e rapimenti.

Secondo le agenzie governative, le aziende coinvolte nell’operazione “Agave Azul” erano legate alla “Jalisco Nueva Generación”, uno dei cartelli più potenti del Messico. Sui loro conti sono state trovate centinaia di milioni ufficialmente provenienti dalla vendita di tequila. Ma la caccia era iniziata anni prima.

L’industria della tequila offre ai narcos caratteristiche uniche, ideali per spremere soldi e riciclare denaro

Nel 2006 l’agenzia statunitense DEA (Drug Enforcement Administration) aveva messo gli occhi sul brand di tequila 4 Reyes, accusato di aver trasportato grandi quantità di cocaina usando la propria attività come copertura. La droga veniva nascosta tra le bottiglie di tequila e caricata su camion diretti in Messico e USA. Il cartello al centro dell’operazione era quello di Tijuana, noto come “Organizzazione Arellano Félix”.

Con quell’operazione il governo americano aveva scoperto per la prima volta il nesso tra brand e traffico di stupefacenti. Quattordici anni dopo, alle aziende di tequila sono stati sequestrati in totale più di 1 miliardo di dollari.

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Nel 2015 era finito sotto indagine il marchio Onze Black. Il brand è originario di Tepatitlán, nello Stato di Jalisco, ed è pubblicizzato soprattutto nel giro dei concerti di mariachi e delle lotte tra galli. La proprietaria del marchio, Jessica Oseguera, è figlia di “El Mencho”, uno dei capi-cartello della zona.

Secondo gli investigatori americani, Onze Black avrebbe fornito supporto finanziario all’organizzazione del boss. Per questo l’azienda è finita nella lista nera del governo statunitense. Oggi le sue bottiglie non sono in vendita in America.

La tequila “Onze Black” è pubblicizzata soprattutto nel giro dei concerti di mariachi e delle lotte tra galli

Anche la famiglia di “El Chapo” Guzmán, leader del cartello di Sinaloa, ha lanciato il suo brand nel mondo della tequila. I Guzmán hanno presentato quest’anno El Chapo 701, un marchio di bottiglie piuttosto eleganti, in vendita nel loro punto vendita esclusivo a Guadalajara. A capo del progetto c’è Alejandrina Guzmán, figlia del Chapo. Il numero 701 si riferisce alla posizione che il padre ha occupato nella classifica delle persone più ricche al mondo di Forbes.

Quando nel 2105 l’attore Sean Penn aveva avuto l’occasione di intervistare El Chapo, con un incontro segreto che aveva scioccato i media e l’opinione pubblica americana, i due avevano condiviso qualche bicchiere di tequila Honor, di proprietà dell’attrice Kate del Castillo, l’attrice che aveva organizzato l’incontro come intermediaria.

Anche la famiglia di El Chapo Guzmán ha presentato quest’anno la sua tequila “El Chapo 701”

Il marchio Honor è parte della società Castillo Reflexion Blanco e presto debutterà negli Stati Uniti. In seguito all’intervista su Rolling Stones era esplosa una grande attesa per il prodotto, sia in Messico che negli Stati Uniti, con lunghe liste di ordini e prenotazioni.

Nel frattempo le autorità messicane si erano messe a investigare per stabilire se ci fossero legami finanziari tra Honor e il cartello di Sinaloa, ma fin qui senza trovare illeciti.

Nel 2013 un altro marchio di tequila, El Viejo Luis, è stato inserito nella lista nera per riciclaggio di denaro per conto dei Los Güeros, un ramo del cartello di Sinaloa. Viejo Luis era conosciuta come tequila premium molto apprezzata, con una presenza stabile negli Stati Uniti, in Europa e in Sud Africa. Era nota soprattutto per le frequenti promozioni 2×1, che consentivano al pubblico di portarsi a casa una buona tequila a prezzi abbordabili. Poi sono arrivati i cartelli.

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Qualche anno fa Vice ha intervistato l’avvocato dell’azienda, che ha raccontato dei suoi incontri con quello che ha scoperto essere, in seguito, un emissario dei cartelli: “Sembrava un brav’uomo quando è arrivato nella nostra distilleria, mai avrei pensato che fosse un criminale. L’ho fatto sedere nel mio ufficio, mi ha detto che voleva investire nella nostra fabbrica. Voleva produrre migliaia di litri di tequila“.

La produzione di Viejo Luis è stato sospesa tre mesi dopo l’inserimento nella lista nera, anche se non ci sono accuse contro i dirigenti dell’azienda. Senza il mercato degli Stati Uniti la produzione non può andare avanti.

Viejo Luis” era una tequila particolarmente apprezzata negli Stati Uniti e in Europa. Poi sono arrivati i cartelli

È difficile capire quanto sia diffusa, in generale, la presenza dei cartelli nel business della tequila, soprattutto per le scarse informazioni rese disponibili dal governo locale e delle agenzie Usa.

La maggior parte degli esperti ritiene che l’infiltrazione non sia ancora particolarmente profonda. I cartelli non riescono di fatto a penetrare le maglie delle grandi produzioni di tequila, per lo più di proprietà di gruppi multinazionali. 

Per loro è più facile investire nei piccoli marchi locali, che si affacciano sul mercato per un tempo relativamente breve, resistono quanto possono e rapidamente scompaiono.

 
Questo articolo è frutto di sintesi e rielaborazione di notizie provenienti da diverse fonti, tra cui Business InsiderMilenio, Mexico Daily News