Un’opera dell’artista aborigeno Raelene Stevens

Tutta la produzione creativa aborigena, in un certo senso, è una “dichiarazione di esistenza”. A guardare le opere degli artisti locali, si nota soprattutto questo: la protesta è un tema costante, un tratto comune e diffuso. Gli aborigeni difendono da generazioni la loro cultura e il loro immaginario da diversi colonialismi, sia politici che culturali.

Osservando i lavori dell’artista Pitjantjatjara Kunmanara Mike Williams, ad esempio, è evidente il sentimento che anima tele e stampe. Le sue invenzioni sono proteste visive contro l’invasione di una cultura egemone, quella occidentale, che ha ridotto nel corso dei secoli gli spazi di quella aborigena.

Mike Williams è stato un attivista politico, leader culturale e guaritore tradizionale. Era nato nel 1952 a Inturtjanu, è diventato leader dei popoli Anangu, nome usato da diversi gruppi aborigeni che vivono nel territorio autonomo “Anangu Pitjantjatjara Yankunytjatjara” (APY), un’area di 100.000 chilometri quadrati, con una popolazione di circa duemila abitanti. 

L’attivista aborigeno Kunmanara Mike Williams (foto di Rhett Hammerton)

Nella sua vita si è battuto contro lo sfruttamento del territorio e per la protezione dei siti storici degli aborigeni. Ha fondato tra l’altro il movimento “Mimili Maku Arts”, un progetto di connessione tra artisti locali sul territorio. “Vorrei che fossimo riconosciuti in modo più ampio dalla società e governo. Dovremmo avviare un movimento di nuova consapevolezza” aveva dichiarato in un’intervista recente, prima della sua scomparsa avvenuta nel marzo del 2019.

(Apy Art Centre Collective)

Sono proteste visive contro l’invasione della cultura occidentale, che ha ridotto gli spazi di quella aborigena

Negli ultimi tempi Williams stava progettando un’esposizione di protesta, il progetto è stato portato avanti dalla vedova Tuppy Ngintja Goodwin, dal collaboratore Sammy Dodd e dal contributo di Google, che ha dedicato all’esposizione una pagina della piattaforma “Arts e Culture.

La raccolta ospita idee e opere del creativo aborigeno, con stampe, tele e installazioni. In particolare alcune foto mostrano mappe dell’Australia “riscritte” a mano dall’artista, in un tentativo di rileggere storia e geografia in modo alternativo, solidale con la causa aborigena.

Kunmanara Mike Williams - "The Government doesn't have Tjukurpa” (Museum of Contemporary Art Australia)

A guardare le opere dei creativi locali, si nota soprattutto questo: la protesta è un tema costante

Rhonda Sharpe produce invece piccole sculture cucite con stoffe locali. È un’abilità che ha ereditato da sua zia, l’artista Dulcie Sharpe. Lavora presso il centro Yarrenyty Arltere Artists (YAA), nel Larapinta Valley Town Camp di Alice Springs.

Alcune delle sue bambole, vibranti di colori e meticolosamente dettagliate, testimoniano le avversità e il destino del popolo aborigeno. Altre sono invece autobiografiche e raccontano la sua battaglia personale contro l’alcolismo. “Ho solo due idee: bere o cucire”, ha raccontato Sharpe in un’intervista. “Devo scegliere, ogni giorno, in che direzione andare”.

L’artista Rhonda Sharpe (foto di Emma Louise Murray (Araluen Arts)

L’Art Center è diventato una seconda casa per Sharpe e molti altri artisti nell’area del Larapinta Valley Town Camp. La comunità è stata originariamente istituita nel 2000 come progetto di formazione artistica, ma anche di risposta a problemi sociali diffusi, come dipendenze e violenza domestica.

Oggi il centro promuove valori di resilienza e forza, è diventato uno spazio sicuro per la creatività locale. “L’arte ci fa pensare alla nostra cultura in un altro modo”, ha spiegato Dulcie Sharpe. “È un bene per tutti avere un posto come questo”.

Rhonda Sharpe produce piccole sculture con stoffe locali. Vibranti di colori e meticolosamente dettagliate

I lavori di Sharpe trasmettono un profondo senso dell’umorismo e della bellezza. Intrecciando lana, cotone e piume, l’artista ha creato piccoli totem dedicati alla sua comunità, proponendo un’identità diversa per se stessa, per la sua famiglia e per i suoi vicini.

Alcune sue opere sono state esposte alla fiera “Aboriginal and Pacific Art di Sydney” del 2020, all’interno della mostra collettiva “Our Art Makes Us Happy”. Sharpe ha vinto due volte il premio “Wandjuk Marika 3D Memorial Award”, nel 2013 e nel 2015.

Rhonda Sharpe a lavoro (foto di Jeff Tan) (The Guardian)

Poi ci sono i Tennant Creek Brio: un collettivo aborigeno nato da un programma di terapia artistica, originario di un paesino del nord del paese. Il gruppo unisce tecniche antiche e contemporanee, utilizzando televisori e quadri per raccontare la vita delle comunità.

Le opere hanno attirato l’attenzione del direttore artistico Brook Andrew e alcuni lavori sono stati selezionati per la 22° Biennale d’arte di Sydney. “All’inizio pensavamo che fosse una piccola mostra. Non sapevamo che sarebbe stata una cosa mondiale”, ha spiegato Warumungu Joseph Williams, uno dei membri del collettivo. Google ha dedicato una pagina anche a loro.

L’artista Fabian Brown (foto di Jesse Marlow) (Art Guide Australia)

I “Tennant Creek Brio” sono nati da un programma di terapia artistica. Hanno attirato l’attenzione della Biennale di Sydney

In una delle installazioni del gruppo, una vecchio videopoker è fatto a pezzi e cosparso di sangue rosso. “Lo schermo rotto mostra quanto sono fratturate le nostre vite“, ha dichiarato l’artista Jimmy Frank. “Il sangue rappresenta la nostra ferita”.

Il collettivo vuole smascherare gli stereotipi che affliggono la popolazione aborigena, promossi soprattutto dai media australiani. Le loro immagini sfidano i cliché primitivisti e immobili sulla cultura locale.

Gli artisti del collettivo Tennant Creek Brio hanno dichiarato di voler denunciare le occupazioni e le violenze subite dal proprio popolo. “Tutte le nostre opere hanno al centro il tema della colonizzazione. Dobbiamo raccontare queste brutte storie per andare avanti come nazione. Dobbiamo farlo attraverso le nostre idee”.