Alice Siracusano
Proud Mom of LUZ B Corp

Facciamo una sfida? Parte da questa foto

In fotografia e nelle aziende, guardare oltre è tutto

©Lorenza D'Alessio / LUZ

“Bisogna saper guardare oltre, spingere lo sguardo al di là dell’orizzonte per poter apprezzare ciò che ci è più vicino.” Lorenza D’Alessio, fotografa. Nata a Battipaglia, 27 anni. Questa fotografia e la frase che Lorenza ha associato mi fanno riflettere sulla necessità di non ridurre a un unico piano ciò che vediamo.

La profondità in fotografia è fondamentale, così come lo è in comunicazione. Invece, quando ci poniamo l’obiettivo di realizzare una comunicazione che parli di valori, che voli alto, spesso va a finire che il volo è talmente alto che non distinguiamo più i dettagli che danno un senso a quella comunicazione.

Faccio un esempio citando un tema che va di moda nel nostro ambito, il cosiddetto “brand activism”: “l’attivismo del marchio si esprime attraverso la visione, i valori, gli obiettivi, la comunicazione e il comportamento delle aziende nei confronti delle comunità che servono” (Attivismo del marchio: dallo scopo all’azione, Christian Sarkar e Philip Kotler, 2018). 

La profondità in fotografia è fondamentale. Così come lo è in comunicazione

Nello stesso libro uno degli studiosi interpellati, Scott Galloway, esplicita un dubbio di molti che in pochi hanno il coraggio di ammettere: afferma che la corsa dei grandi marchi a far proprie posizioni politiche come il supporto al movimento #BlackLivesMatter mostra più saggezza per gli affari che reale preoccupazione per il benessere della società. È presto spiegato: i clienti di quelle aziende hanno posizioni politiche vicine a quelle espresse, dunque il rischio è calcolato.

L’attivismo del marchio si esprime attraverso la visione, i valori e il comportamento delle aziende

Avrà ragione Galloway? Oppure tutto sommato che Nike, Patagonia con l’ambiente, Levi’s con l’integrazione e altri brand immettano nel loro piano media messaggi di questo tipo è un bene in ogni caso? Non ho la risposta ma so che c’è un modo per evitare a priori queste – giuste – critiche.

Se ciò che è messo in dubbio è che le aziende lo facciano per profitto beh, sbandieriamolo questo profitto! E compariamolo, però, anche con qualcos’altro. Lancio una sfida attraverso Canàl, a qualunque CEO abbia il coraggio di fare questo esercizio.

La corsa dei marchi a far proprie posizioni politiche mostra reale preoccupazione o fiuto per gli affari?

Si tratta di mettere sullo stesso piano di misurazione (in euro):

1. Quanto la vostra azienda “prende” dalla società esemplificato dal suo profitto o fatturato.

2. Quanto l’azienda “dà” alla società. Misurando: dalle tasse versate al paese in cui operate, fino al risparmio generato alle famiglie dei dipendenti che grazie al welfare aziendale hanno beneficiato di determinati servizi (asili, polizze sanitarie). Ma anche il valore generato dalle attività di volontariato o beneficienza, per esempio.

Sottraete la voce 1 dalla 2: se il risultato è negativo, non c’è dubbio, state dando. Siete ufficialmente Brand Activist!

Sicuramente la misurazione è orientativa, e bisogna considerare molti dettagli. Ma è la somma di questi dettagli che dà un senso al vostro posizionamento generale. Chi ha voglia di farlo?