I codici e le rappresentazioni pubblicitarie stanno cambiando, seppur con lentezza esasperante. Parlo da una posizione privilegiata, di chi la pubblicità la fa, cercando ogni giorno di modificare, per quanto possibile rispetto alla diffusa ostilità nell’ambiente, i modelli di riferimento che veicola.
Anche se non vogliamo ammetterlo ed è mediamente demonizzata, la pubblicità è specchio della società che abita e può contribuire a cambiarne ruoli e percezioni di cosa sia giusto e cosa no.
Se fino a qualche anno fa è stato l’attivismo a farsi carico di mettere sotto i riflettori le immagini sbagliate, sessiste, violente o misogine che la pubblicità ci ha urlato dai cartelloni, dalle tv e da internet, ora le cose stanno lentamente cambiando. Come ogni protesta però, finché sono le vittime a fare rumore, quel rumore rimane nei soliti circoli senza avere possibilità di straripare, diffondersi e fare cultura.
Non è un segreto che la pubblicità sia stata un mondo di uomini, costruito da e per gli uomini, fin dall’inizio. Basti guardare la prima puntata di Mad Men. Tra gli anni ‘60 e ‘70 il genere è sempre stato rappresentato dicotomicamente: le donne erano sensibili e sottomesse, gli uomini forti e indipendenti (Marlboro Man, anyone?).
Non è un segreto che la pubblicità sia sempre stata un mondo di uomini, costruito da e per gli uomini
Da lì il passo è stato chiaramente breve: se gli uomini apprezzano e desiderano il potere, ecco che alle donne non rimane che sognare un aspirapolvere per Natale. Ma non è colpa di chi ha lavorato negli uffici di Madison Avenue o per lo meno non in toto, perché i rigidi ruoli binari riflettono la realtà quotidiana e fanno appello allo spirito del proprio tempo.
Don Draper, il protagonista della serie Mad Men, è una vittima, non un vincente, in questo senso. È schiavo dello stesso meccanismo che relega le donne in cucina con espressioni di giubilo, ed è inerme come loro.
La maggior parte del lavoro creativo nelle agenzie è storicamente guidato e plasmato da uomini che hanno utilizzato l’ipermascolinità come modello per la creatività stessa. Le agenzie sono state (lo sono ancora, non temete) giganteschi spogliatoi di calcetto: intensamente competitivi, strutturati da legami maschili e zeppi di molestie sessuali e discriminazioni di genere.
La maggior parte del lavoro nelle agenzie è guidata da uomini che utilizzano l’ipermascolinità come modello per la creatività
Cosa può venire fuori da un unico tipo di mentalità, mai diversificata? Che il mondo venga raccontato per stereotipi, con una direttrice precisa che premia certi comportamenti e ne demonizza altri.
L’ipermascolinità è ciò che definiamo oggi “mascolinità tossica”, ovvero norme e ideali di virilità che sono al contempo vincolanti e dannose. Don Draper è imprigionato nella sua stessa virilità, come lo sono la maggior parte degli uomini, qui, nel 2021. Per fortuna, Gen Z e Millennials stanno lentamente modificando la percezione di queste norme, con una fluidità e una semplicità che chi si trova fuori dai cluster fatica a comprendere.
A distanza di qualche anno dal concetto ormai mainstream di “purpose aziendale”, le persone continuano a comprare e comprano sempre di più, se si riconoscono nei valori che le marche fanno propri. Ecco quindi fiorire bellissime campagne come “Like a Girl” di Always, “Real Beauty” di Dove o “Ladies Firts” di Keds.
Gen Z e Millennials stanno lentamente modificando la percezione di queste norme
Con il modificarsi delle rappresentazioni cresce anche la consapevolezza: le persone hanno iniziato a riconoscere come non sia più sufficiente responsabilizzare le donne per costruire una società davvero equa per tutti. Dobbiamo occuparci degli uomini.
Dobbiamo guardarli, ogni giorno, e capire perché sono imprigionati nel loro essere uomini. Dobbiamo continuare a guardarli e cercare, come uomini e come donne, come smantellare le norme e gli stereotipi che li affliggono.
Non è più sufficiente responsabilizzare le donne per costruire una società equa. Dobbiamo occuparci degli uomini
Penso davvero che la comunicazione e la pubblicità abbiano un enorme potere in questo senso. Contribuiscono a fornire altre visioni di ciò che è normale, e di ciò che diventerà prima o poi accettato.
La mascolinità tossica è un problema pervasivo ed è sociale, prima che di rappresentazione, ma essendo anche di rappresentazione ho idea che proprio la pubblicità possa essere motore di cambiamento. Esattamente come lo è stata (e ancora lo è) nella lotta agli stereotipi femminili.
Se guardiamo oggi le pubblicità di Axe (Lynx in UK) rimaniamo interdetti: donne che cadono letteralmente ai piedi degli uomini grazie alla potenza del deodorante. Claim di campagna e naming di prodotto che insistono quasi esclusivamente sulla sfera sessuale: tentazione, istinto, eccitazione.
Una narrativa che pone gli uomini costantemente come predatori e le donne come prede. Non bisogna arretrare di un millimetro, non bisogna chiedere, bisogna solo vincere. Così come Axe, anche Gillette ha costruito la stessa tipologia di mascolinità negli ultimi anni. E con loro molta parte dell’adv globale.
Perché devo nascondere i miei sentimenti se ciò di cui ho bisogno è una lametta da barba? Perché ogni mia azione deve poter essere riconducibile a uno stereotipo, a una norma su come un uomo deve comportarsi nel mondo? Semplice: perché al patriarcato fa comodo non sovvertire lo status quo, e si preoccupa che ogni trama dell’esistere non si muova di un millimetro rispetto al suo disegno.
Ora le cose stanno cambiando. E cambiano anche grazie a determinate rappresentazioni che alcuni marchi hanno fatto proprie. Così, da Gilette ad Axe, da Old Spice a Gucci, anche la comunicazione destinata al pubblico maschile sta cercando di levarsi di dosso gli stereotipi legati alla mascolinità tossica.
Axe è uscita nel 2017 con “Is it ok for guys…?” e “Find Your Magic”. Gillette con “The best a man can be” (che fece arrabbiare moltissimo gli uomini). Old Spice punta da tempo sull’ironia di un certo tipo di rappresentazione, mentre anche nel mondo fashion vediamo accenni di cambiamento.
La comunicazione destinata al pubblico maschile cerca di levarsi di dosso gli stereotipi della mascolinità tossica
La campagna “Go Play” di ASOS per il trucco di viso e del corpo è un eccellente esempio di come i marchi possano sovvertire i tradizionali ruoli binari. Lo slogan “Endless Ways to Be You” parla di auto-espressione individuale e sottolinea che non conformarsi agli stereotipi maschili può portare a un nuovo apprezzamento di ciò che significa essere belli.
Questo atteggiamento filtra nelle immagini della campagna stessa: la pubblicità diventa molto più interessante quando riconosciamo che anche agli uomini piacciono le cose belle. Sì, anche gli uomini possono curarsi e apprezzare la propria e l’altrui estetica. No, curarsi non è una cosa “da femmine”.
Molti marchi di makeup (come Catrice e Wycon) includono prodotti genderless o affidano la promozione a influencer maschi. Non è solo una scelta di marketing, ma un esempio di ciò che può significare essere uomini. Che diventa particolarmente chiaro alle generazioni più giovani.
Se sono un ragazzo a cui piace mettersi lo smalto e scopro su Instagram un tutorial fatto da un ragazzo come me, non mi sentirò sbagliato, acquisterò con fierezza il prodotto, lo indosserò. Ma soprattutto, saprò che quel marchio sta parlando anche a me.
La rappresentazione di generi e corpi ha sempre dato alle persone canoni irrealistici a cui attenersi. Sempre Gillette nell’autunno scorso ha promosso la campagna stampa “Perfection au masculin”: sei ritratti esposti per due settimane nelle stazioni metro parigine. Perché se la società cambia, cambiano e si evolvono anche gli uomini che ne fanno parte.
Gillette nell’autunno scorso ha promosso la campagna “Perfection au masculin”: sei ritratti esposti nelle stazioni metro parigine
Tutti gli uomini possono incarnare la perfezione, perché non esiste un unico concetto di perfezione, così come non esiste un corpo o un comportamento standard che definisce cosa è uomo e cosa non lo è. C’è molta differenza tra il percepito che definisce “i veri uomini”, da quello che parla agli “uomini veri”.
I marchi che comprendono i cambiamenti sociali e di scenario sapranno adeguarsi. E non sarà soltanto una scelta di marketing. Questo cambiamento avviene e sta avvenendo con una precisa consapevolezza, che è il motivo per il quale chi lo intraprende non può fingerlo.
La società forse non è ancora pronta a sovvertire i ruoli che tengono prigionieri uomini e donne, ma credo che la pubblicità abbia un grande potere. Può fare in modo che le azioni di pochi si riflettano sulla vita di molti. Può insegnare che la norma può essere combattuta, se quella norma non tiene conto delle persone a cui si rivolge.