Nelle cuffie ho Childish Gambino. È il primo anno tra quelli di cui ricordo in cui non ho impostato l’out of office nei miei diversi account mail. Ci ho pensato, ci ho ripensato. E poi, sull’onda della manchevolezza premeditata e lievemente autocompiaciuta, ho desistito.
Desistere. Se non ne conoscessi l’etimo mi piacerebbe spiegarla cosi: D-esistere: non esistere, smettere di esserci. Ho smesso di esserci agli inizi di agosto, con un piccolissimo atto rivoluzionario dovuto, così facile che accorgermene è stato complicato. A chi devo, potrebbe esser la domanda. O a chi ho dovuto, a chi dovrò.
All’inizio, è una piccola scossa elettrica nel petto, un minuscolo animale che si arrampica veloce dallo stomaco verso la gola. Conosco questo posto perché ci sono già stata, ci ho già abitato in passato. E quello che diventa poi è casa: uno spazio in cui adagiarsi, dove le membra sono distanti, fatte di quella inquietudine sottile che è tana. Il nido della creatività spesso si chiama noia.
Ma facciamo un indietro veloce giusto per allinearci: parliamo di questo mostro sacro che sembra possederci, che ci brucia dentro senza un motivo, che a spiegarlo non siamo capaci eppure di cui abbiamo comprensione intrinseca. Perché alla fine il punto è questo: non sappiamo nemmeno spiegare bene cosa sia, la creatività. Forse si avvicina per somiglianza ad una forma, ad un sistema di pensiero, anche se il pensiero non è l’unico attore su quel palco. Ché il palco deve esser vuoto per creare il pieno dell’azione, ché dal vuoto si crea non per somma ma per sottrazione.
Il nido della creatività spesso si chiama noia
E allora, con il mio autoresponder mai impostato mi sono lasciata divorare da pomeriggi molto bianchi e lenti, dal tempo dilatato e da istanti precisi di gigantesca noia. Perché se non abbiamo dialoghi interiori e lemmi adatti per descrivere quello che facciamo e come e perché, possiamo in qualche modo capirne i preliminari, aiutarli a scoprirci come quell’amante che spunta dal passato e dal niente- ci siamo già detti e fatti qualunque cosa, dobbiamo solo ri-conoscerci- per trovare e sdraiarci sulle conditio sine qua non.
La noia è condizione necessaria a innescare processi creativi. Questo gigantesco contenitore dove tutto è un po’ fuori fuoco e in cui si impara la possibilità, dove a vivere sono il lasciarsi andare nel tempo svuotato di intenti e l’abbandono degli obiettivi.
Mi sono sempre chiesta come imparare meglio ad arrivare in quel momento in cui è possibile spostarsi in ciò che è davvero possibile, in quella genesi che sta un passo prima dell’inizio. È un viaggio che ha a che fare col divertimento, la distrazione, il sovvertire i ruoli. Quando la mente ha fame di stimoli inventa nuovi modi e nuove connessioni, perché chi ha fame trova sempre, perché sempre è in cerca.
Quando la mente ha fame di stimoli inventa nuovi modi e nuove connessioni
Non so dirlo con precisione ma immagino che sia successo così anche a Jackob Schick, che all’inizio del 1900 passò molto tempo in Alaska e nel rigore di un inverno quasi perenne mentre si riprendeva da un infortunio, si annoiava a morte pensando a come togliersi il fastidio di doversi radere, ogni mattina. Quella cosa di dover anche scaldare l’acqua gelida lo mandava ai matti. Così, nelle lunghissime ore sdraiato a guardare il soffitto, gli venne in mente che il mondo avesse bisogno del rasoio elettrico.
Capisco anche la noia mortale di una delle due ragazze che andarono ad un doppio appuntamento con due fratelli negli anni ’30. Forse la conversazione non era delle più brillanti o il milkshake ci stava mettendo troppo ad arrivare, sta di fatto che lei disse che sarebbe stato bello che so, poter far qualcosa di divertente in macchina, come ascoltare della musica. I fratelli Paul e Joseph Galvin allora dopo alcuni anni di esperimenti, tirarono fuori l’idea dell’autoradio.
In questa estate in cui alla mia noia ho dato molto spazio, durante un lentissimo pranzo a base di frutti di mare ricevo una telefonata. Mi accendo un po’, c’è un naming da trovare – perché senza autoresponder naturalmente qualche rischio lo corri – e mi piombano davanti unaduetrequattro proposte belle, belle e che funzionano, tutte quante, tra il fritto di calamari e il sauté di cozze. E mi viene proprio in mente allora che non ha tanto senso quello che facciamo per tutto l’anno, di incespicare coi neuroni seduti alle scrivanie, di spremerci e arrovellarci in quelle giornate in cui ci ripetiamo che non ci sentiamo creativi per nulla, che è giornata no, che forse è la strategia che non funziona o il cliente che non ha capito o la deadline che è troppo stretta.
Non è che si ammaestri la creatività, certo. È un animaletto veloce che gorgoglia, da qualche parte tra lo stomaco e la gola, almeno dentro di me. Io so che i giorni tutti uguali e le scadenze fisse e le attività iper-programmate lo spaventano, è nato libero, ci vuole rimanere. Quindi ho con lui questo patto che è poi anche un esercizio: lasciarlo vagare ogni tanto, promettergli che ci incontreremo ai bordi di una qualche storia che ancora non so, di una crasi plasmata ad hoc per un oggetto che non ho ancora inventato.
I fratelli Galvin dopo alcuni anni di esperimenti tirarono fuori l’idea dell’autoradio
Perché quella noia lì è ciò di cui ha disperatamente bisogno chi fa questo mestiere: di arrivare faccia a faccia con un certo terrore per guardare in quell’abisso che è uno specchio e allora poi per forza che è lui a guardare dentro di noi.
Ci sembra allora che tutti i cerchi aperti si chiudano in un modo facile e piano– come la maggior parte delle parole della nostra lingua: tremende, bellissime e pronte a superare il tempo.
Un po’ come This Is America di Childish Gambino.