Negli ultimi mesi in Russia è nato un dibattito su alcune campagne particolarmente offensive nei confronti delle donne. In teoria la legge russa sulla pubblicità proibisce contenuti osceni e misogini: in pratica le cose non stanno proprio così.

In particolare le regolamentazioni vietano slogan e immagini lesive della figura femminile. Ma sono ancora molte le pubblicità in Russia con contenuti sessisti: lo scorso 29 marzo un’azienda di birra è stata multata per aver usato l’immagine della bocca di una donna, rappresentata come uno straccio, nelle etichette dei prodotti e nei post online. 

In generale annunci con giochi di parole allusivi e claim a sfondo sessuale sono all’ordine del giorno nel Paese. E quando un brand decide di sposare la causa femminista, può subire attacchi e contestazioni.

Un esempio è stata la campagna pubblicitaria Reebok dello scorso anno, incentrata sull’idea di “donne forti”. L’ufficio marketing aveva coinvolto alcune femministe russe, proponendo slogan pubblicitari audaci e provocatori. In particolare un annuncio accompagnato da un visual particolarmente esplicito (“Non sederti sull’approvazione degli uomini. Siediti sulla faccia degli uomini“), aveva causato una lunga serie di indignazioni e proteste.

Sulla scia delle polemiche Reebok aveva eliminato l’annuncio poche ore dopo la pubblicazione, nonostante al punto di vista legale non ci fossero rischi di violazione delle regole di Instagram o delle leggi russe.

Nel marzo 2019 Lush, il noto brand di cosmetici, ha respinto una proposta di collaborazione della femminista Bella Rapoport. La donna aveva pubblicato il rifiuto sul suo Instagram e affermato che in Russia “i grandi marchi supportano il femminismo, ma solo se ha migliaia di abbonati“. Anche in quel caso era nato un dibattito in rete sulla discriminazione delle donne e sull’etica dei brand russi.

Annunci pubblicitari con giochi di parole allusivi e claim a sfondo sessuale sono all’ordine del giorno nel Paese

Nonostante un immaginario ancora parzialmente retrogrado e codici di comunicazione non sempre aggiornati, il mercato pubblicitario in Russia cresce ad un buon ritmo. Da uno studio commissionato delle agenzie di comunicazione russe emerge che nel 2019 sono stati investiti in pubblicità quasi 500 miliardi di rubli, il 5% in più rispetto all’anno prima, con una crescita dovuta principalmente alla pubblicità online.

Nel giro di un anno gli investimenti sul digitale sono aumentati in modo esponenziale: mentre i budget per TV, radio e stampa diminuiscono, gli investimenti su web e social crescono rapidamente, con esplosione del formato video (+ 165%) e dei podcast (+83%).

Il mercato pubblicitario cresce ad un buon ritmo. Nel 2019 sono stati investiti quasi 500 miliardi di rubli

La televisione resta il media più diffuso nel Paese (il 98% degli abitanti dichiara di guardare la tv tutti i giorni), ma si rivolge soprattutto al pubblico degli anziani. Gli spot televisivi promuovono principalmente farmaci, integratori e cibo. Nel frattempo i giovani si spostano su Internet e con loro gli investimenti: le inserzioni online hanno raggiunto i 244 miliardi di investimenti quest’anno, un aumento superiore al 20%.

Nei prossimi tempi il mercato pubblicitario russo potrebbe risentire della crisi del rublo e delle conseguenze del COVID-19, che ha parzialmente paralizzato il Paese. Ma è probabile che i marchi emergenti continueranno a crescere, investendo soprattutto nei mezzi di comunicazione online.

La storia dell’advertising russa è particolarmente recente, visto che fino alla caduta del muro non esisteva di fatto una società dei consumi (al contrario c’era un deficit di merci: gli scaffali dei negozi restavano spesso vuoti). La pubblicità coincide con l’arrivo del capitalismo: con la nascita di nuovi marchi, prodotti e servizi, il Paese si ritrova investita da un’energia senza precedenti, e la pubblicità si occupa di riflettere quel clima di entusiasmo e sorpresa.

Per i pubblicitari russi gli anni Novanta sono stati gli anni del boom: un periodo di grandi budget e risorse illimitate. Dal punto di vista dei contenuti, le inserzioni avevano in genere composizioni e messaggi molto semplici.
Molte aziende riutilizzavano le grafiche dei brand occidentali, in particolare nel settore degli alcolici, dove gli annunci venivano copiati da campagne europee e riproposti al pubblico locale. Contemporaneamente i grandi marchi come Nestlé, Coca-Cola e P&G investivano molto nel Paese, allo scopo di connettersi con i giovani consumatori russi.

Per i pubblicitari russi gli anni Novanta sono stati gli anni del boom: un periodo di grandi budget e risorse illimitate.

Nei decenni successivi l’industria pubblicitaria sarebbe stata monopolizzata da grandi agenzie multinazionali come McCann Erickson e Grey Worldwide, e sottoposta ad una progressiva “russizzazione” dell’immaginario di riferimento.

Quasi tutti gli spot attingevano dalla cultura locale e facevano leva su valori tipicamente russi. Nello stesso periodo, tra l’altro, nascevano giovani agenzie indipendenti, che avrebbero dato filo da torcere ai grandi network americani ed europei.

Oggi la pubblicità russa sta raggiungendo standard di qualità più alti, spesso al livello dei brand occidentali.

L’esplosione dell’advertising sui social sta cambiando in profondità i paradigmi del settore. Il cambio di forma dei contenuti (uno studio recente sostiene che i 140 caratteri di Twitter siano troppo brevi per la lingua russa), la corsa confusa ai big data (Unilever ha recentemente espresso preoccupazione per le false statistiche dietro i dati sui social media) e l’aumento di festival e premi pubblicitari. 

Se fino agli anni ’90 in Russia esistevano solo tre classificazioni per i premi (film, stampa e affissioni), negli ultimi anni sono nate oltre 25 categorie. Un segno della moltiplicazione di canali e professionalità della pubblicità nazionale.